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Le lettere degli architetti

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5 agosto 2009

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Negli altri 5 casi: o non si è fatto niente o è stato dato un incarico ad un collega. In un caso ad un architetto spagnolo senza alcuna procedura di gara a cui ha fatto seguito un ricorso da parte nostra, in un altro caso è stato chiamato un architetto italiano "di chiara fama" per una consulenza senza tenere in conto minimamente il concorso internazionale, in un altro hanno realizzato l'oggetto del concorso nell'area accanto incaricando un giovane ingegnere locale parente del sindaco, in un altro caso il comune subito dopo la gara di progettazione si è accorto che non aveva i soldi per realizzare l'opera, ed infine nell'ultimo caso non hanno fatto niente è stato tutto un "pour parler".
Per il nostro lavoro ogni volta abbiamo ricevuto dei premi in denaro, più o meno consistenti ma che non hanno ripagato l'enorme sforzo fatto in termini sia economici che intellettuali. Noi, come molti altri architetti, non essendo delle brave "procacciatrici d'incarichi" abbiamo puntato tutto sulla "competitività in campo", scegliendo di partecipare alle gare di progettazione, nella convinzione che una buona trasformazione del territorio debba passare, adesso più che mai, attraverso procedure di confronto tra progetti, non tra curriculum, fatturati o referenze.
Quindi è ovvio e certo che si debbono fare i concorsi in Italia, ma poi si devono rispettare i risultati come in una qualsiasi altra competizione. E da questo punto di vista noi architetti siamo deboli perché non siamo uniti, non ci difendiamo l'un con l'altro ma se ci arriva un incarico anche se c'è stato precedentemente un concorso non ci importa. E così facendo sosteniamo questo fare che alla fine penalizza l'intera categoria e la qualità dell'architettura in Italia.
Basta guardare a paesi dove chi vince un concorso lo realizza per capire la forza innovatrice e motrice che può avere un sistema basato sulla competitività del progetto: Spagna, Francia, Portogallo per citarne solo alcuni. E poi in Italia i nostri politici vanno "a pescare" lì "architetti di fama" per realizzare le opere, che magari non sono altro che bravi colleghi che hanno avuto l'opportunità di costruirsi una professionalità proprio grazie al fatto di aver vinto concorsi di architettura che gli hanno consentito di realizzare opere importanti. E gli ordini professionali dovrebbero urlare molto più forte per farsi sentire. Bisbigliano... E qui smetto perché più penso ai concorsi in italia più mi innervosisco.
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Maurizio Bradaschia
Il problema è ampio e complesso. Nel nostro paese appare evidente che l'Architettura non viva un momento felice. Fino agli anni '80, forse fino ai primi anni '90, pochi conosciuti architetti progettavano e costruivano. Anche bene. Un nome su tutti: Aldo Rossi. Ma anche Piano, Gregotti, Valle, Polesello, Dardi, Aymonino, Grassi, Monestiroli, Culotta e Leone, Cellini, Anselmi, Purini, Portoghesi, Aulenti … molti i nomi di autorevoli progettisti che in qualche modo calcavano la scena internazionale con successo.
Un ricambio generazionale e l'affidamento di incarichi professionali attraverso nuovi meccanismi avvenuto con la Legge Merloni, insieme ad un inevitabile, sproporzionato allargamento del numero di architetti in Italia ha modificato radicalmente gli scenari. I giovani che, a partire dalla metà degli anni '90, hanno compreso i cambiamenti in corso, sono riusciti, non senza difficoltà, ad inserirsi nel mercato della professione.
Il sistema delle gare (purtroppo non dei Concorsi), ha consentito alla generazione dei trentenni di allora di iniziare a costruire le prime opere pubbliche e di proporle, anche attraverso l'editoria specializzata, ad un pubblico rinnovato. Non si può dimenticare il lavoro svolto dalla Rivista d'Architettura in quegli anni. E non può passare inosservata la partecipazione italiana alla Biennale di Hollein, nel 1996.
Progettisti quasi sconosciuti vennero alla ribalta. Alcuni di essi, giovani allora, e ancora giovani, iniziarono a proporre le loro prime opere. Seguì la Biennale di Fuksas, con l'organizzazione de "La sperimentazione del nuovo, giovani architetti italiani: un incontro sulla condizione contemporanea", dove altri ancora proposero architetture, o per lo meno progetti di non poco interesse. Era la prima generazione di nuove leve che affiancava i Maestri. Molti di questi, oggi, sono noti: Cino Zucchi, Marco Casamonti, Vincenzo Melluso, Ricci & Spaini, ABDR, Alberto Cecchetto, Cappai Segantini, 5+1, Gambardella …
Si trattava di un primo inizio… Altre generazioni, non come quella, prive di Maestri, sono seguite. Oggi il panorama è variegato. L'architettura proposta nel nostro paese, anche se ridotta dimensionalmente (quella di qualità, per vari motivi) rispetto a quella di altri, non è più così male. E' passato oltre un decennio. Nuove leve, neanche trentenni, propongono e realizzano progetti interessanti. Sono i giovani che, entrati in un mercato globale, si sono attrezzati professionalmente con strutture adeguate ai tempi, strutturati in società di ingegneria, in società di capitali che partecipano a centinaia di appalti e lavorano, almeno, su scala nazionale.
  CONTINUA ...»

5 agosto 2009
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